Negli anni 60 l’Himalaya era ancora considerato lo Shangri-La dell’esplorazione, un luogo selvaggio e leggendario libero dalla celebrità che lo avrebbe caratterizzato grazie all’alpinismo della fine del XX secolo. La storia che sto per raccontare riguarda la 24 esima montagna più alta del mondo, il Nanda Devi (7.816m), che si trova in India nel Grande Himalaya nel settore settentrionale dell’ Uttar Pradesh nel dominio della regione del Kumaum, una delle zone con più alta densità di popolazione al mondo.
Gli abitanti di questa regione ritengono il Nanda Devi una montagna sacra, il suo nome significa“Dea della Beatitudine”, considerata nelle credenze popolari induiste l’incarnazione di Parvati la moglie di Shiva. Inoltre ai suoi piedi nasce il fiume Gange anch’esso sacro nella tradizione Indù, adorato in tutto il suo corso nel continente Asiatico, meta di numerosi pellegrinaggi e leggende.
Si narra: “che un sorso delle acque del Gange con l’ ultimo respiro della vita possa garantire il passaggio dell’anima al cielo”.
Nel 1964 ciò che interessava al governo degli Stati Uniti del Nanda Devi, non erano i suoi poteri mistici, ma bensì la sua visione non ostruita sul Tibet. Infatti in quel periodo la guerra del Vietnam stava iniziando a crescere insieme alle tensioni tra gli stati confinanti; cosicchè nell’ottobre dello stesso anno la Repubblica popolare Cinese fece detonare il suo primo test nucleare vicino a Lop Nor, in una struttura segreta a poche centinaia di miglia a nord delle montagne dell’Himalaya. Le stime dell’ intelligence americano sulla portata dei missili cinesi e la compatibilità con le testate nucleari non erano chiari. La catena montuosa Himalaiana bloccava le apparecchiature di terra per captare i segnali di telemetria radio dei missili oscurando le attività di spionaggio. Come se non bastasse il Pakistan aveva appena interdetto dal proprio spazio aereo gli aerei americani, e purtroppo la tecnologia satellitare di quegli anni non consentiva ancora lo spionaggio dallo spazio. Quindi gli americani decisero di usare l’Himalaya come osservatorio delle pianure Cinesi. La CIA venne incaricata di organizzare una squadra di alpinisti e spie accorpati a una squadra di ufficiali dell’Intelligence indiano, capitanata dal comandante della Marina Manmohan Singh, che interesso’: scienziati, medici e esperti di telemetria con 30 portatori locali e 9 Sherpa originari della regione del Sikkim, esperti nella scalata sui ghiacciai.
L’operazione denominata Blu Mountain, aveva un obiettivo apparentemente realizzabile, di installare un’antenna-spia sul Nanda Devi, collegata con un generatore nucleare (Lo Snap0 19C), alimentato da 5 Kilogrammi di plutonio radioattivo 239. La miscela di plutonio impiegata poteva produrre abbastanza calore per generare l’elettricità necessaria per alimentare il ricetrasmettitore, rendendo l’attrezzatura autosufficiente in un ambiente ostile come quello Himalayano, che in inverno può arrivare a temperature inferiori ai -50 C°.
Il plutonio è un metallo differente da qualsiasi altro presente sulla terra. Variando la sua massa si può causare un rilascio incontrollato di energia, la stessa che tiene unita la materia. Ipotizziamo di avere una porzione di plutonio 239 delle dimensioni di una mela, sarebbe caldo al tatto con una temperature superiore ai 40°C. Se si potesse comprimere la sfera a una velocità e una pressione estremamente elevate, con un lampo di luce e calore intenso vaporizzerebbe istantaneamente l’ambiente circostante e renderebbe l’area radioattiva. Il Plutonio 239 ha un tempo di dimezzamento delle sue emissioni radioattive di circa 24 mila anni.
La spedizione partì nel settembre del 1965, i portatori e gli Sherpa litigarono per chi doveva portare i contenitori del plutonio, non avendo idea di cosa fosse, solo per il fatto che emanando calore li teneva caldi durante la marcia, utilizzandolo anche come stufa nelle tende nei campi base. Gli ufficiali della CIA applicano dei rilevatore termici su gli indumenti ai componenti della missione, che al variare del colore avrebbe indicato che le radiazioni erano diventate pericolose. A circa 7000 metri quota la missione si complica, con il meteo sfavorevole più del previsto per più giorni, abbinato alle incessanti valanghe. Missione fallita! Si mette al sicuro l’attrezzatura in una cavità nella roccia pensando di tornare dopo l’inverno per ritentare l’operazione.
Nel maggio del 1966 la spedizione torna sui suoi passi, ma non ritrova né la cavità, né l’ l’attrezzatura con il plutonio, in quanto è stato spazzato via tutto dalle valanghe. Le ricerche vanno avanti per tre anni: d’inverno a studiare le mappe, d’estate a perlustrare la zona incriminata sia su sentieri ufficiali che con l’ausilio di elicotteri. Gli scienziati sono allarmati: «Se la contaminazione da plutonio tramite l’affluente Rishi Ganga, che nasce sotto il Nanda Devi arriva fino al Gange moriranno milioni di indiani».Sono state anche avanzate anche ipotesi che l’intelligence indiano avesse rubato le apparecchiature per avviare il proprio programma nucleare. L’anno successivo visto che il plutonio non si trovava, un’ altra missione posiziona lo stesso tipo di attrezzatura sotto la cima di Nanda Kot, una montagna nelle vicinanze. Fu sepolto nella neve tre mesi dopo e smise di funzionare. Quando l’anno successivo la spedizione tornò sul Nanda Kot per raccogliere i dati dal dispositivo, rimasero scioccati! Si era formata una grotta perfettamente sferica formatasi dal continuo calore emesso dal generatore nucleare. Nel tentativo di installare il dispositivo di sorveglianza e poi tentare di recuperarlo, dal 1965 al 1968 sono state fatte quasi una dozzina di salite sul Nanda Devi, descritte dallo scalatore Tenzing Norgay tra le più difficili salite Himalayane. Sebbene il dispositivo installato sul Nanda Kot avesse raccolto abbastanza dati dai test tramite le apparecchiature cinesi per indicare che la Cina non aveva ancora una testata nucleare a lungo raggio. Testimonianze non ufficiali sostengono che la totalità delle persone che sono state a stretto contatto con il plutonio i quattro anni di missioni è deceduta.
L’area del Nanda Devi è stata chiusa per decenni, salvo alcune eccezioni, come spedizioni dall’esercito. A nessuno era permesso di scalare o esplorare la montagna fino all’anno 2000, ufficialmente per ragioni ambientali, per proteggere con il patrocinio dell’ Unesco, le specie autoctone di piante e animali rari come il leopardo delle nevi, l’orso nero.
La foto sottostante e’ stata scattata nel 1963, in cui sono stati immortalati i partecipanti alla prima missione Americana che conquistò il monte Everest. Tra i partecipanti c’era William Unsoeld uno dei più rinomati Himalaysti americani. Nel 1948 William Unsoeld vide per la prima volta il Nanda Devi innevato e rimase talmente stupefatto dalla sua bellezza che disse:
“Ho sognato di avere una figlia e di chiamarla come la montagna.“
Ventotto anni dopo Unsoeld, 50 enne, tornò sulla montagna in una finestra temporale in cui era permesso salire sulla montagna, con una spedizione indo-americana accompagnato dalla figlia Nanda Devi Unsoeld a cui aveva dato lo stesso nome della Dea della Beatitudine.
Devi era una bellissima ragazza bionda che imparò l’alpinismo e divenne una scalatrice esperta. Divenne sempre più attratta dalla montagna che fu una forza trainante per suo padre per intraprendere la scalata della vetta che portava il suo stesso nome. Gli Sherpa avevano sempre pensato che Devi fosse qualcosa di divino in quanto parlava nepalese, avendo vissuto un terzo della sua vita in Nepal.

Il 3 settembre 1976 Devi Unsoeld, Peter Lev e Andy Harvard un giovane scalatore a cui la ragazza era fidanzata, raggiunsero il campo 4 a 7.300m in tarda notte, mentre Devi essendo la meno esperta del gruppo impiegò nove ore per ascendere l’ultimo tratto di 120 metri. Il vento forte e le incessanti nevicate costrinsero la squadra a stare al campo fino al 7 settembre dove trovarono anche William Unsoeld. La mattina seguente Devi iniziò a sentirsi debole e poi si è ammalò probabilmente per l’altitudine. Dopodichè sbiancò in viso e sussurrò: “Mi sta chiamando. Sto per morire “. I tre alpinisti cercarono in tutti i modi d rianimarla, Devi morì tra le loro braccia. Sebbene tutti fossero paralizzati dal dolore era necessario prendere delle decisioni. Con grande autocontrollo il padre William decise di consegnare per sempre la salma di Devi alla montagna. La avvolsero in un sacco a pelo, poi in lacrime si presero commiato da lei lasciando scivolare la salma dalla parete nord-orientale della montagna, che nei ventidue anni della sua vita tanto l’aveva plasmata.
La Dea della Beatitudine aveva reclamato la sua anima. E grazie a Nanda Devi questa montagna avrà sempre un significato speciale.
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Hai fatto bene a farmi rileggere questa storia molto toccante! Tante grazie Martina
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I hadn’t heard this mountaineering story of Devi. We trekked to Kuari Pass and had amazing views of this beautiful mountain. The guide told us stories of the US being on the mountain, but not of this expedition.
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Pazzesco, non avevo mai sentito parlare di questa storia. Grazie!
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Neanche io ne avevo sentito parlare, finchè non sono andato a vedere una conferenza circa 3 anni fa di Reinhold Messner, che ha accennato questa storia senza entrare troppo nei dettagli, successivamente mi sono documentato.
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ho riso per buona parte dell’articolo pensando ai veri motivi di certe missioni, poi basta, poi la giovane Deva ha richiesto un saluto sincero.
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😀🙃🖖
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😉
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