L’antica religione indiana della nonviolenza


Circa un anno fa ho letto un bellissimo libro che si intitola” Nove vite”, che parla del vivo legame tra passato e presente in chiave religiosa nella società indiana. Da qui è nata la mia curiosità sullo Jainismo che è considerata una delle più antiche religioni del mondo. Lo jainismo è sorto dai medesimi ambienti eterodossi dell’India classica, nella piana del Gange del primo secolo avanti Cristo; ed è leggermente più antico del buddhismo ma molto simile. E’definito anche come il “pre-buddhismo”, pero’ di fatto è molto più esigente ed estremo. Il principio cardine dello Jainismo detto aparigraha; e nel credere che ogni legame provochi sofferenza; ciò comporta l’obbligatorietà del celibato o nubilato e della castità.

2dc79c0dac14d8cdd6474627b9f5f59c_w_h_mw650_mhE’ fondamentale lasciare la famiglia e donare tutti i propri averi; e non accettare o maneggiare in alcun modo denaro. La fede jaina si riassume in tre fondamenti detti “i gioielli”: vera fede, vera conoscenza, giusta condotta. Il carattere distintivo del Jainismo è la nonviolenza (l’ahimsa), di pensiero come di azione verso tutti gli esseri viventi. Ciò viene portato fino a limiti estremi, come coprire naso e bocca con mascherine di stoffa per non ingerire, e dunque involontariamente uccidere, microrganismi, piccoli insetti o germi, tutti portatori di anima, per quanto a uno stato primordiale di sviluppo. O camminare spazzando la strada davanti a sé, per non schiacciare nemmeno la più piccola formica.

Nel periodo monsonico ai monaci jaina è vietato camminare per non rischiare di uccidere gli invisibili esseri viventi che abitano le pozzanghere.

Diversamente dal Buddhismo, i jaina credono nella presenza di un’anima non solo in tutti gli esseri viventi, per quanto invisibili, ma anche in tutti gli elementi della terra quali l’acqua, il vento o il fuoco. I monaci buddhisti mendicano il cibo; i jaina possono accettare soltanto il cibo che viene loro offerto senza che essi lo chiedano. Possono praticare la gochari (termine usato per indicare il pascolo di un bovino) e segnalare che hanno fame piegando il braccio destro sopra la spalla. Se non ricevono del cibo prima che si faccia notte, devono andare a dormire affamati.

Per i monaci jaina è usuale rigirare ciascun boccone di cibo in cerca di un pelo, un insetto alato , una formica o qualunque altro essere vivente che potrebbe essere finito nel pasto rendendolo impuro.

Nell’India antica i monaci jaina erano celebri anche per il loro rifiuto di lavarsi: come i monaci comptto in Egitto, essi identificavano la negligenza per l’aspetto esteriore con la purezza interiore. Un’antica iscrizione a Sravanabelgola riferisce in termini encomiastico di un monaco cosi’ sudicio che “sembrava indossare una nera armatura attillata”. Oggi ai monaci è consentito strofinarsi con un panno umido e lavare le proprie vesti di tanto in tanto; ma bagnarsi in uno stagno o in acqua corrente è ancora rigorosamente vietato, cosi come usare il sapone. Ovviamente i Jain sono strettamente vegetariani, fino all’estremo di escludere dalla loro dieta anche tuberi e bulbi in quanto sia il consumo che la raccolta sono considerati un danno morale e materiale.

Gli asceti buddhisti si rasano i capelli come segno di umiltà; i jaina se li strappano alla radice.

Nell’ anno 82 d.C. la fede soffrì uno scisma che portò alla creazione di due diverse correnti. La questione riguardava in pratica, e riguarda ancor oggi, il nudismo. I fedeli votati al monachesimo nelle zone meridionali dell’India giunsero all’estremo di considerare necessario al raggiungimento della perfezione l’astinenza da ogni tipo di possesso, incluso per quanto possibile il cibo e naturalmente i vestiti. Per gli asceti jaina il culmine vita ascetica e’ il digiuno rituale fino alla morte (sallekhana).

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Dapprima si digiuna un giorno alla settimana, poi ci si nutre a giorni alterni. Con il passare del tempo si rinuncia ad uno ad uno ai vari tipi di alimenti. Si elimina riso poi frutta poi verdura e cosi’ via. Alla fine ci si nutre di sola acqua, che successivamente viene assunta a giorni alterni. Da ultimo quando si è pronti si rinuncia anche a questa. Il corpo si raffredda, permettendoti di concentrarti introspettivamente sull’anima, per cancellare tutto il karma negativo. E’ cio’ a cui tutti mirano, a cui aspirano come la vita migliore per il Nirvana. Il suicidio è un grave peccato, è frutto della disperazione. Abbracciare l’sallekhana è come un trionfo sulla morte un’espressione di speranza, in quanto essi non credono che la morte non sia la fine, ma che vita e morte siano complementari, e’ come passare da una stanza all’altra.

Diversamente dal buddismo, la religione jana non si propagò mai al di fuori dell’India, e benchè un tempo sia stata una fede forte in tutto il subcontinente, patrocinata dai sovrani di diverse dinastie del Deccan, rimangono oggi solo quattro milioni di jaina, limitati perlopiù a Rajasthan, Gujarat, Madhya Pradesh e Karnataka. Fuori dall’India la religione è pressochè inesistente e, a differenza del buddhismo, è quasi sconosciuta in occidente; la comunità jaina è tra le più influenti e benestanti del paese e i suoi appartenenti sono sempre stati una presenza importante nella cultura indiana, contribuendo decisivamente nei secoli in tutte le arti, le scienze, la filosofia e la politica.

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23 risposte a "L’antica religione indiana della nonviolenza"

    1. I don’t think they need to reproduce because they are totally devoted to their religion. They are people who choose this kind of life and since the beginning of the practice they are aware of their choices.

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